Il decreto del ‘Rilancio’. Una prima riflessione

Il decreto del ‘Rilancio’. Una prima riflessione


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Finalmente è stato partorito nella serata del 13 maggio, il decreto legge per il ‘Rilancio’ dell’economia(?) dopo il lockdown governativo per arginare la pandemia da covid 19.
Sono confortato dalla prima riflessione espressa nell’editoriale del 14 maggio scorso di Sabino Cassese sul Corriere della sera che non ha esitato a sottolineare il carattere di ‘elargizione’ del provvedimento. Così si esprime: “L’intento è risarcitorio: ristabilire un equilibrio rotto non dalla pandemia, ma dall’azione governativa diretta a tenerla sotto controllo. Il mezzo consiste in elargizioni.” e non poteva essere altrimenti, forse per cattive abitudini.
Poi si pone delle domande: “Fino a dove deve arrivare il risarcimento? Chi include e chi esclude? Questa è una decisione difficile. Ma costruita nel modo che si è detto, ha fatto nascere in tutti la voglia di salire sul carro, per cui il decreto legge è divenuto una sommatoria di proposte (256 articoli, 495 pagine).”

Che dire! Un’azione di Governo per sostenere la virata impressa dal covid 19, un’opportunità più che uno svantaggio, sciupata ancora con una visuale dell’elargizione piuttosto che con quella di un sistematico progetto per l’avvenire.
Qualche giorno avanti, nel mio blog (Aiuti di Stato per il covid 19) scrivevo: “... l’errore che un Governo può commettere è quello di confondere la natura del danno sopportato dai cittadini. Si subisce un danno affettivo per la perdita di un congiunto, un danno patrimoniale per la perdita di un lavoro e un danno economico per un mancato guadagno. ...” cercando di chiarire la differenza tra danno patrimoniale e quello economico, sottolineando la priorità di riparare il danno patrimoniale.
Questo, subìto da chi, per causa della pandemia, non avrà più un posto di lavoro nell’industria, dagli artisti e lavoratori dello spettacolo, dagli studenti che hanno dovuto rinunciare a mesi di lezione, da coloro che si arrabattavano per campare.
L’uso del Decreto legge adottato dal Governo Conte, doveva essere riservato, per dettare al Parlamento che se ne dovrà occupare, le linee guida delle fonti e degli impieghi di denaro da destinare all’economia del Paese (la macroeconomia) fatta di risorse umane, imprese e lavoratori autonomi, consumi e risparmi tralasciando di dispensare singoli operatori economici (la microeconomia) per i quali invece è necessario dettare principi che li pongano in condizione di esprimere il meglio delle loro capacità di player di mercato domestico e in special modo internazionale. Ma tutto ciò non viene svelato dal D.l. denominato ‘Rinascita’.
Si elargiranno denari più per clientelismo che per porre in condizione l’economia del Paese al riavvio con prospettive di sviluppo. Il riavvio è nell’istinto imprenditoriale che con determinazione ed entusiasmo sa come interagire con il mercato, lo sviluppo presuppone un terreno fertile coltivato con strumenti moderni adeguati a sostenere una sana competizione di mercato.

Il Titolo II - Sostegno alle imprese e all’economia, dall’art. 27 del decreto di cui ci stiamo occupando, dopo le disposizioni agevolative dell’Irap per il 2019 e parzialmente per il 2020, regola il contributo a fondo perduto a favore dei soggetti che esercitano attività di impresa e lavoro autonomo con ricavi o compensi non superiore a 5 milioni di Euro. E’ questo l’intervento della norma (art. 28) unitamente a quello che regola il credito d’imposta per i canoni di locazione degli immobili utilizzati per lo svolgimento dell’attività di impresa e di lavoro autonomo (art. 31) che devolve risorse a redditività pressoché nulla. Risorse che rimarranno in cassa dei percettori lasciando immodificata la struttura di quei settori patrimonializzati ma pigri a voler uscire dall’area statistica di incontestabile sotto dichiarato. 

Il legislatore inoltre si preoccupa del rafforzamento patrimoniale delle imprese di medie dimensioni (da 5 milioni a 50 milioni di ricavi) concedendo timidi crediti di imposta che non faranno certo gola ai piccoli e bravi imprenditori ( 5 - 10 milioni di ricavi) che tengono salda l’economia di una vasta area del nostro Paese. Non li inducono sicuramente a patrimonializzare le loro imprese il 20% di credito d’imposta a fronte di un rischio percepito sul futuro prossimo, nettamente superiore al vantaggio offerto dal credito stesso.
Di fatto, l’impresa sotto covid 19 che ha subìto il lockdown e ora deve riavviarsi, ha la vera e sostanziale difficoltà, nel riallineare i suoi flussi di cassa e la patrimonializzazione se mai, può esserne una condizione qualora lo Stato se ne faccia garante. Infatti, per imprese con ricavi da 10 milioni a 50 milioni, il legislatore ha previsto la costituzione del ‘Fondo Patrimonio PMI’ finalizzato a sottoscrivere entro il 31 dicembre 2020 obbligazioni o titoli di debito a sei anni e senza interessi se fino al rimborso viene mantenuto il livello di occupazione al 1° di gennaio 2020 o se vengono rispettate altre condizioni di investimento.
Per imprese sopra ai 50 milioni di fatturato l’intervento è effettuato per il tramite della costituzione di un ‘patrimonio destinato’ a più comparti (art. 30) in seno alla CDP Spa (Cassa depositi e prestiti) che in via preferenziale interviene in sottoscrizione di prestiti convertibili, partecipazioni al capitale ecc. per operazioni di politica industriale che per ora non se ne conosce l’evoluzione.
Ebbene, questi ultimi, dovrebbero essere interventi di principio e direi da estendere a tutte le attività economiche d’impresa, principi che possono rimanere anche dopo la sconfitta del coronavirus peraltro potendo incentivare l’enorme risparmio degli italiani che non trova una rete di canali finanziari tanto sviluppata come in altri paesi per far affluire denaro alle imprese. Perché prevedere un accesso al finanziamento dell’impresa con l’intervento statale da 10 a 50 milioni forse il problema dell’impresa da un milione non è lo stesso? Se concordiamo che la principale difficoltà per l’impresa è il riequilibrio dei flussi di cassa in entrata e in uscita, perché non si coglie questo momento per invitare a patrimonializzare in cambio della soluzione del problema? Del resto, il rischio che assume lo Stato non sarebbe altro che quello di vedere aziende incamminarsi verso procedure concorsuali, in fondo del tutto equivalente ai contributi già certi a fondo perduto e ai crediti d’imposta ma con molta probabilità di dare l’abbrivo ad aziende che sapranno esprimere un valore di mercato. Probabilmente il Decreto ‘Rinascita’ non è stato concepito per delineare principi che sorreggano oggi e il futuro dell’economia che preoccupa l’imprenditoria del nostro Paese.