la sentenza chiacchierata
E’ iniziato nell’ottobre del 2014 il contenzioso tra la Germania e la
UE. Oggetto del contendere il programma economico approntato da Draghi
Presidente della BCE, due anni prima e avviato nel 2015, di acquistare
illimitatamente titoli di debito degli Stati dell’eurozona che avessero
attinto dal fondo dell’ESM (European stability mechanism) per
riequilibrare il loro dissesto. Si era nel pieno della turbolenza
finanziaria, causa della profonda deflazione innescatasi anche in Europa
dalla quale occorreva affrancarsi e fare whatever it takes, tutto il
necessario per salvare l’Euro. L’interpretazione di tale programma, da
parte di alcuni politici tedeschi, fu quella di sostenere l’ultra petita
della BCE la quale si era mossa oltre il mandato ricevuto.
l'argomentazione
come ha deciso
segue:
Naturalmente non si lascia sfuggire il tema
svolto in precedenza e in accordo afferma che il Pepp (Pandemic
emergency purchase program) lanciato da Christine Lagarde oggi
Presidente della BCE, succeduta a Draghi, può proseguire intervenendo
sui mercati finanziari ma, tempo 3 mesi, dovrà giustificare
dettagliatamente che le operazioni di acquisto di obbligazioni non sono
sproporzionate rispetto agli effetti di politica economica e fiscale che
ne derivano. Se così non fosse, la conseguenza sarebbe piuttosto
pesante. Sia dal punto di vista finanziario che politico. La Bundesbank
che partecipa al programma Pepp non potrà più parteciparvi anzi dovrà
impegnarsi alla vendita sul mercato delle obbligazioni già acquistate e
detenute in portafoglio deprimendo i corsi dei titoli. Il risvolto
politico è forse ancor più immediato e non meno dirompente. Riemerge
infatti una peculiarità della Germania la quale - non si sottolinea mai
abbastanza chiaramente né sulla stampa né per voce dei nostri politici -
dopo la sua unificazione e il trattato di Maastricht, ha corretto la
propria Costituzione della Repubblica Federale Tedesca prevedendo al
paragrafo 23 il criterio di compatibilità dell’ordinamento europeo con i
principi di democrazia e sovranità propri della Costituzione tedesca.
Ciò vuol dire selezionare per il proprio tornaconto norme dell’Unione
europea che confliggono con gli interessi interni della Germania. Questa
peculiarità a cui la nostra Italia ha sbadatamente(?) rinunciato,
costituisce una chiara asimmetria non più adattabile all’esigenza di
costruire una unione politica. Gli sviluppi dopo la sentenza possono
essere molteplici, da ricomprendere anche la dissoluzione di una unione
che sta invecchiando. La sentenza della Corte di Berlino potrà essere
criticata in lungo e in largo ma se non si comprende o non si vuole
colmare il dislivello di partecipazione politica non paritaria ad una istituzione
sovranazionale, la rottura sarà inevitabile.